Il “rinascimento psichedelico” in corso a livello scientifico, imprenditoriale e culturale, soprattutto in Nord-America, sta portando allo scoperto anche contraddizioni e problematiche non da poco. Tra queste il rapporto con l’universo della #PlantMedicine, a partire dal rispetto delle popolazioni indigene e delle “piante come maestre di vita”, incluse quelle psicoattive. Il punto è come applicare le conoscenze tradizionali per la salute psicofisica di tutti evitandone l’appropriazione bioculturale.
Se ne è discusso in diversi panel tematici durante il recente il Psychedelic Liberty Summit, compreso quello in cui Miguel Evanjuanoy, della comunità di Putumayo, al confine meridionale colombiano, e Riccardo Vitale, dal 2016 consulente per la Union de Médicos Indigenas Yageceros de la Amazonía Colombiana (UMIYAC), hanno affrontato il rapporto tra la commercializzazione dell’ayahuasca, o yagé, e l’(auto)difesa delle risorse e delle culture amazzoniche.
Abbiamo approfondito il tutto in quest’intervista con Riccardo Vitale, antropologo italiano da oltre 15 anni coinvolto in progetti sul campo in America Latina.
È possibile integrare le pratiche tradizionali delle piante psicoattive con gli sviluppi medico-imprenditoriali del revival psichedelico occidentale? E se sì, in che modo?
Un certo tipo d’integrazione, o meglio d’imposizione, è già avvenuto ma con una falla fondamentale. Il mancato rispetto del diritto contemplato nelle normative internazionali e nella costituzione colombiana (Organizzazione Internazionale del Lavoro, Convegno 169 del 1989, Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni del 2007), che garantiscono la consultazione a priori, libera e informata, delle popolazioni indigene quando un’entità al di fuori delle comunità vuole utilizzare o interagire con le risorse all’interno dei territori ancestrali. In questo caso si tratta delle piante e dei saperi tradizionali, rispetto ai quali la commercializzazione e la globalizzazione sono state imposte senza prendere in seria considerazione il pensiero dei popoli originari, impegnati a negoziare le loro pratiche con l’ondata medico-imprenditoriale occidentale. In realtà questa mancanza tenta di riproporre un approccio di stile coloniale, con una narrativa che, dall’Harvard Psilocybin Project dei primi anni ’60 fino ai nostri giorni, rimane spesso estranea all’ontologia dei popoli indigeni. Le dinamiche storiche di estrazione di risorse dai territori amazzonici, sempre accompagnate da un processo di genocidio tuttora in corso (e ufficialmente riconosciuto dalla Corte Costituzionale colombiana con la Risoluzione 004 del 2009, prodotto della Sentenza T-025 del 2004) hanno causato questa violenta frattura che ora va ricomposta. Un’opportunità in tal senso sembra venire dall’affinità tra la cosmovisione dei popoli originari e alcuni settori della scienza vicini all’ecologia nel modo di interpretare ed osservare l’assoluta interconnessione degli ecosistemi biotici e abiotici.
Nel novembre scorso l’UMIYAC ha diffuso un’apposita dichiarazione a tutela di queste tradizioni indigene: quali gli obiettivi specifici? Come è stata recepita nel movimento psichedelico?
In quanto organizzazione che raccoglie le autorità mediche e spirituali (lachas o curacas) di cinque popolazioni amazzoniche, i membri dell’UMIYAC sono uomini e donne esperti nell’uso del yagé e che posseggono delle conoscenze profonde di questa immensa farmacia botanica che è la foresta amazzonica. In linea con le lotte di altre organizzazioni indigene a tutela dei territori e dell’autonomia politica delle popolazioni amazzoniche, quella dichiarazione punta innanzitutto alla preservazione delle conoscenze e delle pratiche terapeutiche tradizionali. Ribadendo fra l’altro che nessuno al di fuori delle comunità indigene può coltivare o vendere yagé né officiarne le cerimonie. E denunciando pubblicamente l’invasione del capitale euro-americano che sta già commercializzando i saperi tradizionali. Posizioni oggi condivise da quasi tutto il movimento indigeno Latinoamericano, come testimonia la partecipazione di una delegazione dei cinque popoli indigeni dell’UMIYAC alla 36.ma Assemblea del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, e nel Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, nel settembre 2017. Queste voci indigene si stanno aprendo, a fatica, uno spazio all’interno del movimento psichedelico, anche grazie al lavoro congiunto di organizzazioni indigene come, appunto, l’UMIYAC e la non-profit multidisciplinare International Center for Ethnobotanical Education, Research, and Service (ICEERS). Alleanze che rappresentano un primo passo importante per far fronte a queste fratture storiche tra il mondo occidentale e i popoli indigeni. Stiamo costruendo un ponte importante: l’impegno a sostegno (advocacy) delle pratiche tradizionali e dei diritti umani degli indigeni da una parte e l’appoggio ai movimenti per la libertà cognitiva oltre le norme proibizioniste dall’altra.
A proposito di proibizionismo, qual è la situazione odierna rispetto alla war on drugs nell’amazzonia colombiana?
Il narco-traffico è ancora una realtà con cui i popoli indigeni devono confrontarsi ogni giorno. La war on drugs ha innescato fin dall’inizio una perenne crisi umanitaria. In Colombia 50 anni di conflitto armato hanno generato circa 7,5 milioni di sfollati interni, più di duecentomila mila morti e almeno 8,5 milioni di vittime di crimini di guerra. Dalla firma degli accordi di pace del 2016 tra il governo e le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) più di 700 attivisti, molti dei quali indigeni e contadini hanno perso la vita. Le categorie maggiormente esposte alla violenza politica sono attivisti, contadini, mestizos, afrocolombiani e indigeni in lotta per recuperare i loro territori espropriati durante il conflitto armato dal paramilitarismo (storicamente legato ai grandi latifondisti e al narcotraffico) o che lottano per la sostituzione ecosostenibile delle coltivazioni di coca, come stipulato in quegli accordi di pace. L’unico modo per uscire da questa crisi umanitaria è la riforma delle norme sul consumo nei Paesi destinatari della droga, prima di tutto in Nord-america ed Europa. Le popolazioni in resistenza continua, come quelle amazzoniche, sanno bene che coercizione e repressione non sono mai la risposta a problemi sociali complessi.
(Foto: convegno UMIYAC, da Chacruna.net)
Questo articolo fa parte della rubrica settimanale Psichedelia Oggi.
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Bernardo Parrella è giornalista freelance, traduttore e attivista, da tempo residente in Usa e coinvolto in svariati progetti italiani e internazionali. Ha curato l’ebook Rinascimento Psichedelico. La riscoperta degli allucinogeni dalle neuroscienze alla Silicon Valley“ (2018). @berny