A fine aprile si terrà UNGASS 2016, un’Assemblea Generale ONU dedicata alle droghe. L’ultima Assemblea si tenne nel 2009 e da allora molte cose sono cambiate: la legalizzazione, per decenni proposta da pochi gruppi antiproibizionisti tra cui i Radicali, è ormai realtà in diversi Stati.
Nel 2013, il report dell’Osservatorio Europeo sulle Droghe (EMCDDA) assieme ad Europol, invitava l’Unione e i suoi Stati a ricavare “considerazioni politiche” dai dati in esso contenuti. Di stringente attualità è il nesso tra narcotraffico e terrorismo: nel documento si sottolinea come sia stato dimostrato che “gli attentati di Madrid del 2004 – 191 morti e 2.000 feriti – sono stati finanziati da denaro ottenuto dal traffico di droga”.
L’ultima relazione annuale sulle droghe del 2015, redatta dall’EMCDDA, contiene dati che dovrebbero far riflettere: nell’intera UE sono stati commessi 1,25 milioni di reati contro le leggi sugli stupefacenti e il 63% riguardano consumo o detenzione di cannabis.
A fronte di ciò, l’UE ha lentamente iniziato a mitigare la propria posizione nei lavori preparatori di UNGASS: si afferma di voler sviluppare l’accesso alle misure alternative al carcere per i crimini collegati all’uso di droga; si sottolinea l’importanza di misure di riduzione del rischio e del danno; si dichiara l’impegno per abolire la pena di morte per reati collegati alla droga.
La petizione al Parlamento Europeo chiede due cose all’UE: farsi portavoce di una politica non proibizionista e cambiare la propria legislazione sulle droghe, in particolare la Decisione quadro 2004/757/GAI, che fissa le norme minime a livello europeo.
Matteo Ariano
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