Tokyo 2020, cannabis olimpica

Il mondo dello sport professionistico guarda alla cannabis con altri occhi
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Nel 2009 “il proiettile di Baltimora” Michael Phelps, l’olimpionico più decorato della storia con 28 medaglie di cui 23 d’oro, fu fotografato ad una festa mentre usava un bong: la Federazione di nuovo statunitens lo sospese per tre mesi, levandogli lo stipendio, mentre il suo principale sponsor, la Kellogg’s, decise di non rinnovare il contratto con l’atleta. Lui si scusò in diretta tv, definì il fatto “deplorevole”, ma il pasticcio fece il giro del mondo procurandogli non pochi problemi.

Le Olimpiadi di Tokyo 2020, conclusesi da poco, hanno fatto segnare un’importante svolta in materia di cannabinoidi e sport: i Giochi di quest’anno sono stati i primi in cui agli atleti professionisti è stato permesso di usare prodotti a base di cannabis durante la preparazione alla competizione. Dal settembre 2017 infatti la WADA, l’Agenzia mondiale antidoping, ha autorizzato l’uso di cannabidiolo (o CBD), sempre più popolare tra gli atleti: il velocista giamaicano Michael Frater, medaglia olimpica nella 4X100 ai Giochi di Londra, non ha mai nascosto di farne uso. Ma non è l’unico: la calciatrice americana Megan Rapinoe, oro a Londra 2012 e bronzo a Tokyo 2020, include nella sua sessione di allenamento anche l’assunzione di CBD prodotto dall’azienda specializzata per atleti fondata dalla sorella. Con lei anche la fidanzata Sue Bird, cestista americana oro ad Atene, Pechino, Londra, Rio de Janeiro e Tokyo, portabandiera americana in Giappone. La stessa azienda rifornisce l’ostacolista americano Devon Allen, quarto in finale a Tokyo, e la giocatrice di softball Hayley McCleney, argento a Tokyo e due volte campionessa del mondo.

Ciò non significa che a Tokyo questi atleti assumessero CBD o facessero uso di cannabis: in Giappone, infatti, le normative anti-cannabis sono molto rigide e gli atleti olimpici non hanno potuto introdurre prodotti cannabinoidi nel Paese. Tuttavia nei cinque anni precedenti l’Olimpiade giapponese questi atleti hanno fatto un uso regolare di CBD: ogni volta che dormi meglio la notte, ogni volta che ti riprendi meglio dall’ultima serie di esercizi, le tue prestazioni saranno migliori la volta successiva. Ma non solo: come spiega la stessa Megan Rapinoe in un’intervista a Forbes “il CBD è diventato parte del mio sistema di recupero. Lo utilizzo durante il giorno per alleviare il dolore e l’infiammazione, stabilizzare il mio umore e dormire meglio. Invece di prendere Advil o altri farmaci oppioidi per la gestione del dolore” l’atleta ha sostituito tali prodotti con altri a base di CBD.

Gli atleti utilizzano la maggior parte di prodotti a base di CBD per favorire il recupero muscolare e articolare: si tratta di prodotti di alta qualità, che devono utilizzare estratti altamente raffinati poiché c’è una buona probabilità che prodotti ad ampio spettro possano ancora contenere sostanze vietate dai regolamenti antidoping. Andando oltre il recupero, il CBD può aiutare gli atleti a mantenere un ritmo del sonno più regolare e può contribuire a migliorare il loro benessere mentale generale tra le diverse sessioni di allenamento. I prodotti a base di CBD hanno il potenziale di sostituire i farmaci oppioidi, che creano dipendenza ma sono molto importanti negli sport fisicamente più impegnativi: seppur impopolari tra gli atleti questi a volte sono necessari. Uno dei casi più clamorosi è la National Football League (NFL) americana, dove l’uso di oppioidi è diffusissimo: un problema talmente grande che a febbraio 2021 l’associazione dei giocatori NFL ha avviato un processo per idenfiticare nuove alternative agli oppioidi, come il CBD. Secondo Barbara Pastori di Prohibition Parters il CBD tra gli atleti è uno dei trend nel mondo della cannabis.

Se il CBD sta vivendo un periodo di crescita enorme, nel 2021 le prospettive per l’industria europea è toccare i 2,1 miliardi di euro di fatturato, e se è riuscito a rompere le barriere del pregiudizio arrivando a far cambiare i regolamenti internazionali antidoping, tutt’altro discorso vale invece per un altro notissimo cannabinolo, il THC, che resta una bestia nera. Nonostante OMS e ONU considerino la cannabis, e tutti i suoi principi attivi, un farmaco, il THC continua ad essere trattato come una sostanza illegale nella maggior parte dei Paesi che partecipano alle Olimpiadi e ovviamente nei regolamenti antidoping nazionali e internazionali. Se dal punto di vista sociale il problema è a monte, da quello sportivo il problema è a valle: nel mondo dello sport si discute ancora se il THC debba essere considerato una sostanza capace di migliorare le prestazioni. Ma da qualche parte le cose stanno cambiando: la Nevada State Athletic Commission (NSAC) ha revocato il divieto di uso della cannabis, e di tutti i suoi derivati. Non è una cosa da poco perché la NSAC stabilisce le regole per la principale federazione internazionale di arti marziali miste (MMA, per cui c’è un movimento internazionale per introdurle nel palmares dei Giochi olimpici a partire dal 2032).

Lo stesso sta facendo anche la National Basketball Association, la NBA, e la Major League Baseball, MLB. Ponendo, per ora, un unico vincolo agli atleti: non firmare contratti da testimonial di aziende di cannabis.


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