Se sei imbranato coltivare cannabis non è reato

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Di Marco Perduca

Negli ultimi anni sono state adottate sentenze di tenore diverso relativamente alla coltivazione domestica di piante di cannabis. Per chiarire cose in effetti prevede la legge del 1990, nel 2019 la questione era stata rimessa alle sezioni unite penali della Corte di Cassazione. Il 16 aprile è stata finalmente pubblicata la sentenza che afferma che “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore“.

Si tratta di una decisione che stabilisce chiaramente una volta per tutte la non punibilità della produzione domestica per uso personale. Sicuramente una buona notizia per chi fuma di tanto in tanto, e in questi giorni poter mantenere certe abitudini risulta particolarmente complicato, ma una novità che poco influisce sui problemi strutturali del proibizionismo. 

Si tratta forse di un messaggio pubblico che potrebbe avere, tra le varie ripercussioni, quella di rivedere le priorità della “lotta alla droga” togliendo definitivamente la caccia alla piantina sul balcone (anche perché per poter verificare tutte le circostanze ambientali della coltivazione non punibili occorre occorrerebbe apprezzarle di persona con perquisizioni, sequestri eccetera).

Pur avendo fatto un piccolo passo avanti per alcuni, il problema rimane in tutta la sua interezza: in Italia oltre 6 milioni di persone consumano cannabis e l’approvvigionamento di quel “fumo” non avviene domesticamente. Occorre quindi affrontare questa diseguaglianza di trattamento e la proporzionalità delle pene ancora prevista per una condotta che non crea vittime.

Questa riforma strutturale appartiene al Legislatore. Tra le varie proposte davanti alla Camere ce n’è anche una di iniziativa popolare depositata il 2016 che articola norme per la regolamentazione legale della produzione (anche domestica), il consumo e il commercio della cannabis. Per rilanciare, da remoto, la richiesta di legalizzazione il 20 aprile si terranno gli Stati Generali della Cannabis online co-promossi dall’Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe, Società della Ragione, parlamentari e decine di altre associazioni di consumatori e pazienti. 


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