In una dimostrazione di impunità e mancanza di vergogna, il rapporto del coroner sulla morte di George Floyd ha affermato che la causa di morte è stata un mix di problemi di salute preesistenti e “potenti intossicanti nel suo corpo”. Il rapporto ha insinuato che la colpa della sua morte era di Floyd e del suo uso di droghe – non del soffocamento subito dal ginocchio di un agente di polizia durante un arresto a Minneapolis.
Ci sono adesso prove sostanziali che la guerra alle droghe abbia sproporzionatamente preso di mira le comunità afroamericane negli USA, risultando in una profonda ingiustizia sociale. Per decenni, i politici negli USA hanno usato paura e disinformazione per perpetuare stereotipi razzisti che legano gli afroamericani ai reati di droga, creando danni irreparabili agli individui e alle comunità. Quasi la metà delle persone nelle carceri federali per reati di droga sono afroamericane e quasi il 60% sono ispaniche. Senza includere chi si trova nelle carceri statali e locali, in cui l’impatto sproporzionato sulle comunità è ancora più chiaro.
La guerra alle droghe ha fornito l’architettura all’interno della quale le pratiche di polizia razziste e l’incarcerazione di massa possono operare – negli USA, ma anche in giro per il mondo. Come ampiamente riportato da TalkingDrugs, il razzismo sistemico e la sorveglianza razzista sono problemi globali. Lavorano insieme per svantaggiare attivamente i più poveri nella società, il che è chiaramente visibile nel disegno e nell’implementazione delle leggi sulla droga in giro per il mondo.
Possiamo osservarlo nel modo discriminatorio in cui la pena di morte per reati di droga viene applicata a livello globale; nelle pratiche di polizia razziste in giro per il mondo; e nei tassi di incarcerazione distorti che mostrano un impatto sproporzionato sulle minoranze.
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