L’auto-coltivazione di cannabis a scopo terapeutico, soprattutto se in modica quantità, non si può considerare un reato ai sensi del Testo unico sulle droghe. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha assolto un uomo che in casa coltiva cannabis a scopi terapeutici per curare la sua uveite cronica e l’infiammazione alla retina di cui soffre da anni.
La sentenza è stata pubblicata il 20 gennaio ed è un ulteriore colpo di piccone alle politiche, e soprattutto agli approcci, proibizionisti in materia di cannabis: la Cassazione sostiene che il Gup, che comunque ritiene l’uomo non punibile per via della lieve entità del reato (due piante!), abbia dato troppo peso alle “misure” delle piante di 170 e 130 cm di altezza, 85 66 cm di diametro – e davvero non si capisce cosa questo dica agli inquirenti circa il “potere drogante” delle suddette piante.
La coltivazione era realizzata con tecniche rudimentali e produceva un modesto quantitativo di principio attivo. I due vasi, peraltro, erano collocati sul balcone dell’appartamento, che sta di fronte alla stazione dei Carabinieri del paese siciliano dove vive l’ex-imputato. Insomma: l’imputato non risulta legato alla criminalità e inoltre il consulente tecnico di parte ha confermato che la cannabis ha positivi effetti neuroprotettivi e antinfiammatori proprio sulla retina.
Perché allora costringerlo ad un processo lungo tre gradi di giudizio?