Franco Roberti: “Così si combattono i produttori taleban afghani e i clan che hanno saldamente in mano il monopolio del traffico”
Per battere davvero i taleban, che in Afghanistan si finanziano con le coltivazioni di papavero da oppio, occorre legalizzare le droghe leggere in Italia (e nel resto del mondo). A sostenere le ragioni dell’antiprobizionismo scende in campo nientemeno che il superprocuratore antimafia e antiterrorismo Franco Roberti. Qualche giorno fa, invitato dal Parlamento a dare un parere su un ddl antiproibizionista – prima firma è Roberto Giachetti, ma sono 220 i deputati di vari gruppi che lo sostengono – che mira a legalizzare la cannabis, Roberti presenta il suo contributo «propositivo, pragmatico, scevro di pregiudizi politici e ideologici, fondato sui fatti». E che fatti.
Il superprocuratore riconosce che la lotta al narcotraffico si trascina stancamente e che la lotta la stanno vincendo i trafficanti. Basandosi sui dati ufficiali, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo stima che in Italia circolino almeno 1,5 tonnellate di cannabis all’anno; sarebbero 3 milioni i consumatori stabili. È un dato riconosciuto – scrive Roberti – che le mafie hanno saldamente in mano il monopolio del traffico e che i taleban afghani sono i principali produttori al mondo. «Equivale a dire che la produzione di cannabis è una delle fonti di finanziamento del terrorismo».
Se si vuole dare un colpo alle mafie e ai taleban, bisogna togliere dall’illegalità questo straordinario canale di finanziamento. Oltretutto – è il ragionamento di Roberti – «per una schizofrenia del sistema», si assiste a un enorme spiegamento di forze, di polizia e della magistratura, a contrasto delle droghe leggere, le meno pericolose, a discapito del contrasto alle droghe pesanti. «I sequestri di cannabis sono 100 volte di più di quelli di eroina e cocaina, 800 volte maggiori dei sequestri delle droghe sintetiche».
Per questo motivo che la Superprocura è favorevole a far produrre la marijuana come si fa attualmente con il tabacco, sotto il controllo dei Monopoli, e a venderla nelle tabaccherie. Roberti giustifica la rivoluzione in cinque punti: liberare risorse da indirizzare nella lotta alle droghe pesanti, sollevare i tribunali da migliaia di procedimenti che portano troppo spesso a sanzioni che restano sulla carta, togliere ricchezza alle mafie, far guadagnare lo Stato con nuove entrate, prosciugare il canale di autofinanziamento dei taleban afghani.
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Roberti è invece contrario all’autoproduzione e agli shop dedicati come in Olanda. Il pericolo è che la criminalità, cacciata dalla porta, rientri dalla finestra, si veda il settore delle scommesse. «Questo nuovo affare attirerebbe inevitabilmente gli interessi del crimine organizzato». No all’autoproduzione per uso domestico. Peggio ancora, Roberti teme l’autoproduzione associata, «ulteriore cavallo di Troia per far rientrare nell’affare la criminalità organizzata che potrebbe acquisire una ulteriore opportunità per produrre e commerciare la cannabis».
Bisogna guardare in faccia la realtà, dice Roberti. E così come intende essere pragmatico nella scelta di depenalizzare, ugualmente non ci si può nascondere che «come insegnano migliaia di procedimenti che passano all’attenzione delle Direzioni distrettuali antimafia, le possibilità per la criminalità di creare governare associazioni “fantasma” (se ne vedono moltissime in tutti i settori, da quello agricolo a quello dei servizi) composte da persone spesso inconsapevoli, ovvero da meri prestatori d’opera, o semplicemente da chi presta il proprio nome, sono inesauribili». Il rischio è di creare di nuovo un mercato illegale, oltretutto senza i controlli sanitari che sarebbero obbligo dei Monopoli. Già, perché c’è cannabis e cannabis. E se si interviene sulla concentrazione del principio attivo Thc, il rischio torna elevato.
Il viceministro degli Esteri Benedetto Della Vedova, crede che il ddl in arrivo alla Camera il 25 luglio abbia una «vasta maggioranza trasversale» e auspica una «limpida battaglia. Se ciò non accadesse, mi auguro che il gruppo del Pd rispedisca le pressioni al mittente e lasci la piena libertà di voto per i deputati dem».
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Francesco Grignetti su “La Stampa”