Nonostante la calura estiva e l’onda lunga del coronavirus, il fronte psichedelico continua a produrre interessanti novità. È di pochi giorni fa la decisione delle autorità canadesi di concedere a quattro cittadini, da anni affetti da un cancro incurabile, l’accesso alla psilocibina per alleviare le loro sofferenze psico-fisiche all’approssimarsi del fine vita. È la prima eccezione legale alle norme proibizioniste vigenti in Canada dal 1974 e potrebbe aprire le porte ad analoghi interventi terapeutici ben oltre le cure palliative. Rispetto alla ricerca scientifica, vanno poi segnalati i risultati di un sondaggio online sulle microdosi e uno studio sui benefici dell’ayahuasca quando usata in un contesto tradizionale. Infine è appena partita BeckleyPsyTech, l’unità dedita interamente alla ricerca medica come costola della britannica Beckley Foundation.
Iniziando da quest’ultimo, atteso lancio, il progetto riguarda specificamente la ricerca e lo sviluppo (R&D) di medicine psichedeliche superiori agli odierni trattamenti neuropsichiatrici. A tale scopo l’unità punta alla formulazione e all’applicazione di composti psichedelici basati sia su sostanze esistenti sia mettendone a punto di nuove. Obiettivo a lunga scadenza è la creazione di “medicine psichedeliche di terza generazione” in grado di garantire migliori effetti clinici e costi ridotti rispetto allo scenario odierno.
Fondata nel 1998 da Amanda Feilding, la Beckley Foundation rimane un motore trainante per il revival di queste sostanze e nella nuova operazione ha messo insieme un team di ricerca internazionale primo livello, mirando così ad ampliare ulteriormente la funzione di think-tank a tutto campo. Motivo per cui sono coinvolti, fra gli altri, Marc Wayne, pioniere della cannabis medica in Canada, e Steve Wooding, ex strategista commerciale per la Janssen, l’unità farmaceutica della Johnson & Johnson – raccogliendo circa 3,8 milioni di sterline da una cordata di investitori globali.
Altra notizia fresca è l’esito di un sondaggio online, curato da un team dell’Università di Toronto, sull’uso di microdosi di Lsd e funghetti psilocibinici, tramite un questionario anonimo diffuso nei mesi scorsi sulla nota piattaforma Reddit. Come spiega la sintesi apparsa su Harm Reduction Journal: giovani (21-31 anni), studi universitari, attività lavorativa autonoma, rapporto uomini-donne 2:1. Uno spaccato particolare ma sicuramente rappresentativo della società nord-americana odierna, vista la crescente popolarità trasversale di questa pratica, ben oltre lo stereotipo della Silicon Valley. Ancora scarsa, invece, l’attenzione della letteratura scientifica, soprattutto per via dell’imperante proibizionismo che impedisce o penalizza simili raccolte-dati sul campo.
Nello specifico, sono stata analizzate 278 risposte, da volontari con età media di 27,8 anni. Tra i risultati positivi: buon umore generale (26,6%), maggior livello di concentrazione (14,8%), creatività (9,4%), energia (7,6%); tra quelli negativi: fastidi fisiologici (18%) e ansia (6,7%). Tracciando dei paralleli tra benefici e rischi, la ricerca suggerisce alcune implicazioni di questi risultati. A partire dalla netta preponderanza degli effetti positivi, soprattutto per chi usa soltanto microdosi di psilocibina. Risultati questi che in sostanza rispecchiano quanto rilevato negli ultimi anni dallo psicologo californiano James Fadiman, considerato l’autorità in tema di microdosi. Il suo questionario online anonimo aveva attirato circa 1500 utenti di oltre dieci Paesi. E come hanno ribadito i ricercatori canadesi, il tutto sottolinea comunque la necessità di ulteriori ricerche ad ampio spettro in quest’ambito.
L’ultima segnalazione riguarda un altro studio che parimenti sposa i tipici racconti aneddotici con l’analisi scientifica. Stavolta si tratta dei benefici psicofisici dell’ayahuasca, di cui si è occupato un team indipendente inglese, la cui relazione valuta l’effetto della miscela di erbe psicoattive sui tratti della personalità quando usata in sessioni tradizionali nelle regioni amazzoniche. I dati sono stati raccolti durante una sessione presso la Ayahuasca Foundation di Iquitos, in Perù: 24 partecipanti hanno seguito un ritiro di 12 giorni per un totale di sei cerimonie. L’indagine prevedeva anche un gruppo di controllo con 24 persone che erano in vacanza in zona e non avevano mai assunto l’ayahuasca.
Tra i risultati più significativi, i partecipanti hanno riportato la netta diminuzione degli atteggiamenti nevrotici e il contemporaneo aumento dell’armonia con gli altri. «Ciò suggerisce forti potenzialità terapeutiche», ha concluso il Dr. Simon Ruffell, collaboratore del King’s College londinese. «Queste sessioni con l’ayahuasca sembrano in grado di ridurre la nevrosi associata con vari problemi psichiatrici, quali ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo.»
Da notare che i ricercatori hanno seguito la “NEO Personality Inventory-3 (NEO-PI3)”, cioè gli indici relativi a cinque tratti primari della personalità, applicando altresì il Mystical Experience Questionnaire per misurare il livello di percezione dell’esperienza mistica dopo la cerimonia. Nel complesso, vengono così confermati risultanze precedenti, con l’ennesimo invito degli stessi scienziati a derubricare queste sostanze per consentire ulteriori indagini – replicando, per esempio, questo studio in setting diversi dalle tipiche cerimonie amazzoniche, cioè in cliniche moderne o in ambienti neo-sciamanici.
(Foto: BeckleyPsyTech)
Questo articolo fa parte della rubrica Psichedelia Oggi.
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Bernardo Parrella è giornalista freelance, traduttore e attivista, da tempo residente in Usa e coinvolto in svariati progetti italiani e internazionali. Ha curato l’ebook Rinascimento Psichedelico. La riscoperta degli allucinogeni dalle neuroscienze alla Silicon Valley (2018). @berny