È arrivata l’ora delle depenalizzazioni -partendo da cannabis

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L’Associazione Luca Coscioni affida a Marco Perduca, che coordina la campagna Legalizziamo.it, il commento alla relazione programmatica della Ministra della Giustizia Marta Cartabia.

“Alla Ministra Cartabia diciamo innanzitutto: è arrivata l’ora delle depenalizzazioni, per fondare una credibile riforma della giustizia.”

“Oltre all’attenzione dei rapporti tra istituzione parlamentare e Governo, troppo spesso piegati alle ragioni dell’urgenza e alle difficoltà o convenienze politiche, come per esempio in materia di ‘fine vita’” ha dichiarato Perduca “il rispetto dei principi costituzionali evocato dalla Ministra Cartabia non può non tener di conto della proporzionalità della pena.

Un rapporto che, quando si parla di consumo, detenzione, acquisto – e ancora di più coltivazione – di sostanze sotto controllo internazionale, a partire dalla cannabis, è enormemente sbilanciato verso sanzioni penali e amministrative”.

Secondo l’XI Libro Bianco sulle Droghe pubblicato da decine di associazioni della società civile tra cui Forum Droghe, CGIL, CNCA, Antigone, A Buon Diritto e l’Associazione Luca Coscioni Stessa, oltre un terzo dei detenuti negli istituti di pena italiani è ristretto per reati connessi a violazioni del testo unico sulle droghe del 1990.

“Se in effetti superare l’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato, perché come ha affermato la Ministra la certezza della pena non è la certezza del carcere” prevedere sistemi alternativi di attenzione a chi delinque per motivi connessi al consumo di sostanze è qualcosa di possibile anche a stretto giro.

Un primo segnale concreto di conferma che il carcere deve essere l’extrema ratio, sarebbe chiarire che il perseguimento penale o amministrativo di chi produce cannabis, o chi la detiene e usa personalmente – al pari delle altre sostanze proibite – non è più una priorità di politica criminale per questo governo.

Questa decisione andrebbe incontro al bene pubblico della salute da tutelare e confermerebbe che l’ordine pubblico non viene messo a rischio da consumi personali bensì dalla catena di traffico internazionale che li consente.


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