Caro direttore,
Lei è un giornalista di vaglia e apprezzato. Mi permetto però di contestare il titolo del suo giornale di ieri, di facile effetto ma fuorviante: “Canna libera”, in relazione alla firma da parte del sindaco Pizzarotti della legge di iniziativa popolare per la legalizzazione e una (ferrea) regolamentazione della produzione, trasformazione e vendita della cannabis anche per uso non terapeutico.
Ho alle spalle una convinta militanza antiproibizionista, che mi ha spinto a promuovere l’intergruppo per la legalizzazione della cannabis, che ha prodotto il disegno di legge oggi in discussione alla Camera con il sostegno, solo a Montecitorio, già di 220 deputati. Mi scontro da tempo con le tesi proibizioniste di politici che da decenni promettono più impegno per stroncare il mercato della cannabis senza preoccuparsi, decennio dopo decennio, di dare conto del fatto che il mercato aumenta, che le autorità deputate alla repressione chiedono di poter dedicare le loro energie al contrasto di altri crimini e che un fiume di miliardi passa dalle mani di italiani incensurati e socialmente ben inseriti a quelle delle mafie.
Altrove, penso agli USA della “war on drugs”, costata un’enormità con scarsi risultati, o al Canada, si è preso atto del fallimento politico e sociale del proibizionismo e si sta cambiando decisamente strada. In Canada, dove il consumo è ancor più elevato che in Italia, a coordinare la stesura della Legge di legalizzazione della cannabis è stato chiamato l’ex capo della polizia di Toronto, oggi deputato liberale. Che non è un poliziotto pentito, ma al contrario, da testimone del fallimento della repressione, crede nella regolamentazione. E qui, per brevità, torno al titolo che Le contesto. La “canna libera” è quella di oggi, criminale, senza controlli, ma assolutamente disponibile h24 e 365 giorni all’anno ovunque in Italia e, immagino, anche a Parma. Questo accade dopo decenni di arresti, processi e carcere, spesso per giovani incensurati ed estranei a qualsiasi malaffare. Lo stato spende (inutilmente) per (tentare di) reprimere. E la mafia incassa e ringrazia».
Noi non ci arrendiamo al mercato libero di oggi, dove il pusher non chiede la carta di identità e nessuno controlla le sostanze. Nessuno di noi ha mai detto che il consumo di cannabis fuori dalle prescrizioni mediche non sia nocivo (neppure alcool e tabacco, legali e tassati, sono un toccasana). Pizzarotti, quindi, ha il coraggio di non arrendersi all’ipocrisia della cannabis libera e criminale di oggi e propone un’alternativa non di incoscienza, ma di responsabilità e controlli; di buon Governo che deve dare conto dei risultati, non delle intenzioni. E, da ultimo: se anziché al bilancio delle mafie portassimo, tassando la cannabis, qualche soldo a quello dello Stato per ridurre altre imposte, non credo faremmo un soldo di danno.
Lettera inviata a la Gazzetta di Parma da Bendetto Della Vedova, senatore e promotore dell’intergruppo Cannabis legale